I vestiti che non metti più


Recensione a L. Murano, I vestiti che non metti più, Dialoghi, Viterbo 2021, Euro 14.

Una collezione di improvvise ‘allegrie’ questi Vestiti che non metti più di Luca Murano, raccolta di short stories realizzata da un autore che ha già all’attivo la pubblicazione di diversi testi narrativi su riviste indipendenti italiane.

Ventitré narrazioni brevi, in alcuni casi brevissime, quasi fulminee, che muovono da episodi in alcuni casi anche apparentemente inconsistenti, ma che per i protagonisti finiscono con l’assumere valore rivelatore, epifanico, nel solco della tradizione joyceana. Sicuramente grande presa sull’autore ha avuto la narrativa americana (Carver in particolar modo). Si ravvisa una tendenza da un lato alla mimesi e a un’espressività modellata sul parlato nei dialoghi, ma anche nelle voci monologanti che fungono da io narrante; dall’altro, spesso negli explicit o nel momento in cui dalla focalizzazione interna si passa all’esterna, vi sono virate verso un dettato più lirico, come in Stormo und Drang o in Il mio sottosopra, per citare alcuni casi.

L’incidente è un elemento pressoché costante nelle narrazioni: che sia stradale (personaggi, protagonisti, animali sono in alcuni casi investiti da automobili) o domestico come nei Gatti ninja; si presenti nelle forme della nausea per gli odori che impregnano un supermercato o assuma l’aspetto della perdita di qualcosa o di qualcuno o di un banale battibecco con un cameriere, esso interviene come una scossa sismica (non a caso evocata in La quiete e il cappuccio) affinché gli attori delle vicende si vedano vivere, meditino su sé stessi e sull’esistere e prendano talvolta decisioni. Attori che sono sostanzialmente figure paralizzate dal malessere, spesso ferme a fissazioni affettive irrepugnabili… Murano penetra nella loro psiche (“Chi siamo quando nessuno ci osserva?”), scegliendo il punto di vista di uomini, giovani o più anagraficamente maturi, affannosamente proiettati nella scacchiera dei giorni con ferite fisiche e spirituali più o meno rilevate.

Accanto al fattore ‘incidente’, altre sono le costanti rilevabili nella raccolta. Significativa è la presenza di animali. È il gatto – reale o immaginato che sia – scoperto da un uomo nel frigorifero di casa a sbloccare la stasi di un rapporto coniugale in stato comatoso a causa di una tragedia pregressa; è uno stormo di uccelli a ricordare al protagonista di uno dei racconti ch’è necessario avere nella “propria visuale di orizzonte un equilibrio di luce e oscurità”; è la carcassa di un cinghiale investito a rivelare a un “veterinario per vocazione” un’inettitudine che ha radice in una sorta di timor panico dell’esistere. Che dire poi della lepre de Il silenzio e altre forme di rumore che diviene con la sua apparizione/sparizione occasione d’incontro e dialogo tra un vedovo e un bambino, nella città resa silente e spettrale dalla piaga della pandemia? In tale attenzione sembra di cogliere quasi un’eco tozziana.

Gusto fortemente postmodernista è quello citazionista. Molti dei titoli riprendono ironicamente testi di celebri romanzi o di canzoni, riecheggiati ironicamente. Quasi ogni racconto ha poi una sua precisa colonna sonora, evocata anche con la ripresa di versi. Abbiamo così L’amore ai tempi del cioccolato (e il pensiero ovviamente corre a García Márquez), una kunderiana Insostenibile leggerezza dell’Estathé alla pesca; gli 883 sono variamente citati nella Fregola dell’amico e Un giorno così è evocata in seguito a un inatteso atto di gentilezza ricevuto in uno Stormo und Drang ammiccante a sua volta a Klinger.

Un’opera godibile, che in un moltiplicarsi di punti di vista (si vedano le analogie tra L’insostenibile leggerezza dell’Estathé alla pesca e 2492, insieme al già citato Stormo und Drang e ai Gatti ninja uno dei testi migliori) diviene occasione per guardare al mondo e guardarsi nell’animo, soprattutto se si condividono queste parole di Murano: “l’oblio mi terrorizza: l’idea che io possa passare inosservato come un refolo di vento”.

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