
Recensione a L. Weber, Navi nel deserto, Il Ramo e la Foglia, Roma 2023, 19 Euro.
Navi nel deserto dell’italianista Luigi Weber è a nostro avviso una delle proposte letterarie più interessanti di questo primo scorcio del 2023.
Un’opera fortemente radicata nella letteratura, che nasce come omaggio allo scrittore Joseph Conrad e vive di un felice gioco combinatorio che vede Weber recuperare personaggi, motivi e situazioni della narrativa conradiana e compiere feconde operazioni di contaminazione, “lungo le piste di una storia tutta nuova” cui il lettore si appassiona sin dalle prime battute, anche in virtù dell’attualità delle tematiche che affiorano.
Teatro delle vicende è un mondo futuro lentamente trasformato in deserto, puntellato da rocche fortificate e oasi, abitate dai cosiddetti isolani (questi ultimi in realtà soprattutto donne). Lungo questo scenario distopico ha luogo l’ossimoro delle “navi nel deserto”, i cui equipaggi sono guardati con diffidenza, in alcuni casi addirittura disprezzo, dai cittadini: “certe volte mi chiedo perché la gente delle Città ci odî tanto… -“, si domanderà il cambusiere Haldin, personaggio interessantissimo, una sorta di meteora nel corpo del romanzo.
In questo contesto il lettore assiste a un’epopea dei destini incrociati in un prologo (non dichiaratamente definito tale), dieci interludi e un epilogo. Una vicenda sapientemente orchestrata da Weber attraverso l’alternanza tra narrazione interna (opera del traditore dei pirati, il cui nome è rivelato solo nel finale), narrazione esterna, scene di sapore teatrale e persino stralci diaristici o flussi di coscienza come nell’incipit dell’ottavo interludio. Lo stile è elegante e curato, con grande attenzione di Weber alla congruenza con il tenore che la materia di volta in volta assume e con il linguaggio dei personaggi in gioco (penso alle licenze della novella incastonata nel quarto interludio).
L’antefatto è ricostruibile dalle informazioni che il lettore riceve nel corso della narrazione. Il capitano della Lalene Julian Sands è riuscito, diversamente dal suo equipaggio, a salvarsi dalle grinfie del pirata Schomberg e dei suoi scherani grazie al tradimento di uno dei pirati. È proprio a quest’ultimo ch’è affidato l’incipit della narrazione: “Uscii dal mio nascondiglio soltanto quando fui certo che gli alianti se ne fossero andati”. I due fuggitivi si sono separati; Julian Sands cerca disperatamente di salvare dalla barbarie piratesca il maggior numero possibile di abitanti delle oasi. Anima il suo spirito generoso anche l’intenzione di ricongiungersi a Freya, l’amata che vive con il padre e altre due donne (tra cui l’affascinante e ambigua Aglae) nella Settima Oasi, luogo verso cui inevitabilmente finisce col tendere la vicenda stessa. Il traditore, invece, viene, nei primissimi capitoli del romanzo, accolto sulla nave Kairòs (luogo della crisi e dell’Occasio, come il nome stesso suggerisce) dal suo capitano, il giovane cittadino Joseph Conrad. L’omonimo dello scrittore e navigatore polacco subito proverà simpatia per l’ospite inatteso (che si qualificherà come Sands) e lo nasconderà (gli estranei non sono infatti ben accetti dagli equipaggi delle navi) nel proprio alloggio. Sarà il traditore a fornire a Conrad preziosi consigli, spingendolo a rifugiarsi, per sfuggire all’inseguimento del rabbioso Schomberg e salvare sé stesso e i marinai, nella vicina Rocca di Banka. Dagli abitanti di quest’ultima i marinai saranno accolti con diffidenza e ritrosia; gli incauti cittadini non mancheranno peraltro, non valutandone la pericolosità, di aprire le porte della rocca a Schomberg e ai suoi sgherri, convinti che la nave Kairòs abbia dato ricetto al traditore. Anche Sands chiederà aiuto all’inetto sindaco di Banka Morrison, domandando un modesto mezzo cingolato per compiere il salvataggio degli abitanti delle oasi vicine e soprattutto della sua Freya con la famiglia. Riuscirà a vincere le resistenze dei cittadini, tutt’altro che inclini alla solidarietà (“Lei è un uomo pericoloso, Sands. La sventura segue i suoi passi”)? Ovviamente non anticipiamo nulla dell’evoluzione degli eventi.
Cominciamo col precisare che tutti i nomi dei personaggi del romanzo sono mutuati dalla narrativa di Conrad o a lui alludono; sfuggono a questa regola Julian Sands (forse omaggio all’attore britannico, purtroppo irreperibile dal gennaio 2023) e i nomi delle tre ancelle del pirata Schomberg, che rinviano invece alle Moire della mitologia greca. Da notare, peraltro, che se ad agire sulla scena sono Clotho e Lachesis; Atropo è pressoché assente e sorge nel lettore il dubbio che la funzione dell’“inflessibile”, di colei che con le cesoie recide la vita, sia assunta dallo stesso feroce Schomberg.
La vicenda di Conrad e del traditore contamina elementi di ben tre romanzi di Conrad: il primo è, inutile dirlo, il celeberrimo Heart of Darkness; gli altri due sono The Shadow Line (La linea d’ombra) e The Secret Share (Il compagno segreto). In entrambi i romanzi, infatti, un capitano giovane e inesperto assume la direzione di una nave, suscitando i malumori dell’equipaggio. Evidenti le analogie con il plot del Compagno segreto, laddove Leggart, ‘evaso’ dalla Sephora, rivive nel traditore dei pirati e Schomberg assume la funzione del capitano della Sephora, Archbold, che pretendeva di visitare la nave diretta dal protagonista per scovarvi il fuggitivo. Anche nel romanzo di Weber emerge il tema del doppio caro a Conrad e sviluppato – con esiti diversi – nei tre romanzi citati: in tal direzione leggerei il colloquio tra il capitano Conrad e il cambusiere Haldin, figura che – guarda caso – non avrà più alcun rilievo nel momento in cui a salire a bordo sarà il traditore. Tra quest’ultimo e Conrad si crea un’intesa che sembra collocarsi quasi (sottolineo il quasi, perché il limes non è oltrepassato) ai confini con l’attrazione erotica. Del resto, anche il traditore e Sands sembrano ricondurci al motivo del doppio: non è casuale che il pirata pentito si presenti a Conrad fingendosi il comandante della Lalene; non è ancora un caso il fatto che i due (Sands e il traditore) assumano su di sé l’esercizio della funzione “salvataggio”. A sua volta l’insistenza, l’accanimento con cui Schomberg ricerca il fuggitivo fa pensare all’idea che – al di là del desiderio di vendetta – egli ne percepisca la mancanza, quasi fosse una parte di sé, necessaria per vivere… o morire. E poi c’è la volubile e ambigua Freya, chiaro omaggio alla conradiana Freya of the Seven Islands; del resto, la vediamo abitare proprio la Settima Oasi… La scorgiamo in apertura spiare alla Butterfly l’orizzonte, in attesa della desiderata nave Lalene. Chissà, però, se questo personaggio continuerà a sentirsi a suo agio nella funzione Penelope o non raccoglierà piuttosto l’eredità di Carmen che rifiuta don José dopo averne risvegliato il cuore di tenebra…
Non c’è però solo la memoria conradiana nel romanzo di Weber. Si ammicca ad Omero nella città in pericolo, ma vivissime sono le memorie di Giovanni Boccaccio, soprattutto della novella di Andreuccio da Perugia. Queste reminiscenze letterarie affiorano nella terribile avventura di Sands. Il capitano della Lalene si ritrova prigioniero dei pirati, “nella gabbia dei dannati”, che – come accade ad Andreuccio nella sua caduta dall’alto verso l’interno del chiassetto – si colloca “più in basso delle altre”. Una cella fetida in cui il capitano si ritrova “ginocchioni nello sterco, nudo”, proprio come l’ingenuo giovanotto del Decameron scivolato negli escrementi del Malpertugio privo dei suoi panni. Questi ammiccamenti divengono scoperti nel passaggio in cui l’“aguzzino convertito” (il traditore motore delle vicende) si allontana sibillinamente: “E tra l’uscire, il serrare e lo scomparire quasi non vi fu modo di distinguere” (chiaro riferimento alla gestualità della servigiale della sedicente madonna Fiordaliso in Decameron II, 5: “- Buono uomo, e’ mi par che tu sogni- , e il dir questo e il tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa”). Del resto, la prigionia di Sands presso i pirati ammicca ancora all’episodio di Odisseo nell’antro di Polifemo: anche il Laerziade, infatti, assisteva inerme al massacro dei suoi compagni e il banchetto di Schomberg, con la conseguente ebbrezza, risulta propizio alla fuga dalla nave pirata al pari dell’ubriachezza del Ciclope. La fuga è inoltre coronata da “quella magnifica fredda pioggia che ci rinnovellava entrambi”, vero e proprio crogiolo di memorie: la pioggia dantesca che sferza i golosi (punitiva) è contaminata, assumendo valore positivo, con quella benefica, voluta da Dio, della Gerusalemme e poi dei Promessi sposi, in un ammiccare anche alla panica pioggia dannunziana.
Un percorso letterario ingegnoso, in cui rivivono le inquietudini di questi anni, in primis la paura della diversità. Essa può essere identificata, da chi si arrocca in un selettivo e asfittico microcosmo comunitario, con l’androceo dei marinai o con la spregiudicata modernità delle isolane. Il timore di un miasma portato dallo straniero entro le mura, di una contaminazione misteriosa (si pensi agli eventi della casa del Messo) da cui mantenersi immuni può condurre alla chiusura, all’indifferenza, alla cecità che non consente di distinguere le vittime dagli aggressori. Una mancanza di chiarezza di visione che può indurre chiunque a rendersi carnefice di un’umanità già piagata dalla sofferenza. Il rischio di navigare nella desertica aridità dello spirito diviene così altissimo.