
Recensione a L. Spurio, Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca, seconda edizione, PoetiKanten Edizioni, Collana L’Appello, Rogliano 2020, Euro 10.
Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca, opera di Lorenzo Spurio giunta alla seconda edizione, è senz’altro un lavoro che colpisce per la visionarietà, la cura stilistica e l’intensità con cui la tragica esperienza del poeta spagnolo è rivissuta in una sorta di laica via crucis (quest’ultima componente è ben evidenziata nella bella introduzione di Nazario Pardini).
L’opera è costituita da undici componimenti in cui si consuma la rimeditazione del destino di García Lorca, fucilato a Víznar, nell’agosto 1936, dalla polizia franchista per le sue idee politiche ma anche per il suo stile di vita e le inclinazioni omosessuali.
In Memento il poeta andaluso aveva scritto: “Cuando yo me muera / enterradme con mi guitarra / bajo la arena. // Cuando yo me muera, / entre los naranjos / y la hierbabuena”. Proprio da quei versi Spurio ha tratto il titolo del suo Recitativo; purtroppo il corpo dello scrittore non è mai stato ritrovato, ma, in uno dei testi che compongono la plaquette, Spurio sembra evidenziare come oramai García Lorca appartenga all’immensa natura ed esista in molteplici frammenti in cui vibra vita interiore. L’io lirico dice, sì, “cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante”, ma al contempo dichiara di “vagare nei dintorni confusi / e abitare smanioso ogni luogo del campo”. Non va, dunque, ricercato nell’utero di Gea ma tra gli spiriti dell’aria.
L’opera vive di due differenti movimenti. Il primo è quello che segue la vicenda di García Lorca condotto alla fucilazione. In Nella roccia vescovile pare operante la tensione alla cristificazione, che però non deve essere intesa come forma di irriverenza, perché concorre a proiettare in un’aura sacrale il martirio di chi muore per oltraggio. Testimone dell’atto una natura bellissima, popolata dalle presenze care alla poesia di García Lorca, con cui Spurio stabilisce continui legami intertestuali. Così, Il bivio di campagna si apre con l’immagine delle formiche (le hormigas di Alma ausente, per esempio), che sembrano quasi, nel loro febbrile attivismo, spiare l’altrettanto frenetica ma nociva attività dei carnefici. In quel contesto spiccano ancora gli aranci e i “capelli scomposti” dello scrittore sembrano abbracciare l’aria. Quanta differenza dai “maldestri assassini” che lo abbatteranno, scherani del “plotone-fantoccio”! La Natura è partecipe dell’evento: “L’acqua putrida dei pozzi si disseccò” o ancora “Le piante quel giorno hanno smesso di parlare / gli acuminati rami superbi imposero il silenzio”. E che dire delle rane che “vagano stordite e deluse”? Alla disumanizzazione dell’uomo-Caino pare corrispondere, per contrasto, un’intensa umanizzazione di elementi vegetali e animali, al cospetto della poetica icona dello scrittore (“Sul volto un sorriso di gigli freschi”). Spurio insiste come la morte dell’andaluso non sia davvero tale: “Morto è solo chi si dimentica e scompare / come una cicogna nera nella notte petrolio”. La resurrezione dell’artista assassinato sarà affidata ai suoi versi.
Ed ecco che si spiega il secondo movimento della plaquette, che non è giustapposto al primo, ma ad esso intimamente connesso. Spurio rivive la magia di alcuni testi di García Lorca, quasi che – nella liberazione dello spirito del poeta – essi si rimodulassero nell’aria circostante. Tagliami l’ombra riprende il famoso incipit (“Leñador. / Córtame la sombra”) della Canción del naranjo seco, dando voce all’arancio senza frutto, al suo disperato desiderio (“Quiero vivir sin verme”). Esso percepisce “l’oltraggio” del cardo; le sue “mammelle arancioni penzolanti” sono “avvizzite dalla disperazione”; per un attimo balena l’idea che l’albero che vuole vivere senza vedersi e chiede al falegname di tagliargli l’ombra sia il poeta stesso, che esprime il suo sentire distonico. Nel finale, torna l’immagine delle formiche: “Nella sfida del cardo / col pompelmo / vince la formica / che domina entrambi”. Intenso è anche il Lamento dell’infante sprofondato (particolarmente efficaci l’explicit e la strofa che punta l’obiettivo sulla mater dolorosa che “rimesta nell’utero con dita adunche”), testo che si colloca prima di un’altra variazione di sapore lorchiano, C’era Amnon, testo ispirato a Tamar y Amnon.
La poesia lorchiana rievocava con forza visionaria l’incesto di Amnon, figlio di David, che viola la sorellastra Tamar sotto l’impulso di un amore violento, maledetto (“Violador enfurecido, / Amnón huye con su jaca”), al cospetto del quale il canto smuore nel silenzio (“David con unas tijeras cortó / las cuerdas del arpa”). I passaggi più forti del testo di Spurio, che accosta a Tamar le “donne vessate e stuprate / figlie concupite e oltraggiate / ragazze abusate e sfruttate”, risiedono, a nostro avviso, nella rievocazione di Amnon. Spurio si scaglia contro il “laido violatore / del candore di primavera”, il “Caino del sesso / sadico fratricida della perversione”, uomo dal “ferino respiro”, che Lorca rappresentava llenas las ingles de espuma (“pieni gli inguini di spuma”). Certo, non stupisce – pensando all’originale lorchiano – che l’autore dei Sonetos del amor oscuro sentisse fortemente su di sé il peso di una colpa d’amore diversa dall’incestuosa passione di Amnon, ma socialmente riprovata perché ritenuta contro natura.
L’opera di Spurio è ulteriormente impreziosita dagli “schizzi ad inchiostro di china interpretati dal maestro Franco Carrarelli” e ispirati ai testi poetici dello scrittore jesino. Quello che colpisce del Recitativo è che, pur muovendo da una tragica vicenda di morte, l’opera è costantemente irrorata di luce, di colori d’oro, di preziose immagini di vita e di bellezza (penso alla magnolia o ai campi di zafferano). È il dono della poesia che dialoga con la poesia e con quella “radice / magnifica e atroce” che all’esistere e al mondo ci lega.