Il gommone forato


Recensione a Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale, a cura di Tania Di Malta, puntoacapo, Pasturana 2022, Euro 20.

Colpisce nel segno la nuova antologia del Movimento del Realismo Terminale, intitolata Il gommone forato che, con la curatela di Tania Di Malta, offre specimina della poesia civile del gruppo, organizzati per nuclei tematici o per dedicatari.

L’opera, nell’ottica di chiamata a raccolta delle menti pensanti espressa nell’introduzione a un altro dei libri del Movimento (Luci di posizione), si pone all’intersezione fra le arti, annoverando riproduzioni di opere scultoree e pittoriche ma anche di fotografie di artisti appartenenti al Realismo Terminale, unitamente a espressioni della saggistica e, soprattutto, della poesia. L’intento, come ben spiegato dalla curatrice Di Malta, è quello di “immaginare un grande libro/palcoscenico, per un Cunto de li cunti realista terminale”.

Dedicatario dell’opera diviene così Pier Paolo Pasolini, “poeta civile e intellettuale corsaro”, in un ideale omaggio nel centenario della nascita. Di Pasolini, “battuto come fosse una bistecca” (Guido Oldani), il fondatore del Realismo Terminale rievoca anche l’amicizia con Dario Bellezza nella bella prosa Il maglione di Pasolini, occasione per una riflessione sottocutanea sulla talora tragica chimica del caso. La figura di Pasolini assurge a Leitmotiv della sezione eponima della raccolta, in cui si staglia l’icona del “gommone forato”, così definito perché “‘non deve arrivare’ a destinazione”, divenendo, fatalmente, scherano della tragedia del Mediterraneo e “metafora della morte più frequente in questi ultimi anni” (Carmelina Chiara Canta). Tra i testi della prima sezione particolarmente condivisibile ci appare Cibernetica sociale e felicità di Daniele Maria Pegorari, lucida analisi di quella tecnocrazia ch’“è il nuovo stadio della trasformazione a cui il capitalismo sottopone la società per adeguarla alle proprie esigenze”. L’ossessione della performatività, la tensione al funzionamento che si sostituisce a quella all’essere, l’incubo dell’individuo “patchwork di componenti intercambiabili rapidamente” per cui la leggerezza diviene vertigine e l’originalità di massa è la nuova frontiera del conformismo sono alcuni degli elementi di riflessione che lo scritto di Pegorari con eleganza e finezza d’analisi mette in gioco.

L’opera – come già evidenziato – si compone di varie sezioni. A essa, oltre all’ideatore della poetica RT Oldani e al firmatario del Manifesto del Realismo Terminale, Giuseppe Langella (con loro nel 2014 anche la compianta Elena Salibra), hanno preso parte i seguenti membri o simpatizzanti del Realismo Terminale, scrittori, critici, artisti: Marco Bruni, Brunivo Buttarelli, Chiara Carmelina Canta, Giuseppe Canta, Gilberto Colla, Igor Costanzo, la curatrice Di Malta, Emanuela Gelmini, Gaetano Grillo, Yang Sil Lee, Alessandro Mangiarotti, Annachiara Marangoni, Lorenzo Menguzzato, Valentina Neri, Daniele Maria Pegorari, Claudio Pestalozza, Angelo Francesco Puma, Stefano Giorgio Ricci, Fabio Roncato, Francesco Sainato, Camilla Sommadossi, Stefano Torre e Alessandra Vinotto.

Accanto alla sezione incipitaria ed eponima, alcune sono caratterizzate dalla presenza di un tema o motivo comune: le pale eoliche, in risposta a uno stimolo di Angelo Turco; le “poesie per il ritiro delle truppe Usa e Nato dall’Afghanistan”; il “Carnevale dei piedi. Maschere e mascherine” che muove da questioni quali il “Corridoio balcanico”, la morte nel Mediterraneo e il tema dell’emigrazione; infine un gruppo di testi che si coagula intorno alla tragedia del febbraio 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina. In quest’ultima trova collocazione un nuovo manifesto del RT, ribaltamento provocatorio di un’asserzione ben nota di Marinetti che “proclamava ‘la guerra, sola igiene del mondo’”. Facendo idealmente proprio l’anelito di un Petrarca, che in RVF 128 prorompeva in un “I’ vo gridando: Pace, pace, pace”, i firmatari dichiarano che sia la pace, semmai, “la sola igiene del mondo”. Tale posizione non è mera affermazione di principio, alla luce del fatto che il Novecento con le sue guerre ha, sì, seminato morte in tutto il mondo, ma di certo i conflitti che vi si sono succeduti non hanno “estirpato il male per il quale” sono stati combattuti. A queste sezioni si affiancano altre, consacrate, invece, a vittime della Storia, dell’indifferenza, della violenza: Giuseppe Pinelli, Michele Ubaldi, Giulietto Chiesa, Laurent Barthélémy, Willy Monteiro Duarte, George Floyd. Accanto a tali figure, spesso silenti, talora dimenticate si collocano gli omaggi a due personalità che di certo non hanno coltivato il facile fiore del controsamaritanesimo; parliamo di Florence Nightingale e di Gino Strada, il cui ricordo è evocato con commozione da Oldani.

Data la natura corposa e composita della raccolta non possiamo soffermarci ad analizzare i singoli testi e le singole personalità. Quel ch’è certo è che il volume rientra pienamente nei canoni del Realismo Terminale. V’è il motivo dell’accatastamento degli individui nelle metropoli moderne, per cui Di Malta, ricordando il senzatetto Ubaldi, può esclamare: “Michele che risate avresti fatto / vederci tutti qui accatastati / l’ora d’aria di proficua bontà / satolli come tanti panzerotti”. Nell’accatastamento l’individuo è reificato, quasi pattumizzato, se – in un testo di Igor Costanzo sempre sullo stesso argomento – un operatore atto alla raccolta dei rifiuti in stazione scansa Michele “in malo modo col piede / come fosse un bidone”. In questo quadro, gli esseri umani paiono divenire quasi “Pratiche inevase da casellario giudiziario”, come osserva Di Malta in Di padre ignoto.

V’è, tipico della poesia RT, l’uso, prevalentemente in chiave ironica, dell’inglese, lingua egemonica, che affiora, per esempio, in un testo come quello di Giuseppe Langella dedicato a Pinelli. Il componimento parte da un’icona dei fumetti statunitensi e della cinematografia, Spider-Man, per contrapporre al volo liberatorio di Peter Parker il “cadere a corpo morto” da “una stanza tetra” della questura di Milano dell’anarchico, colui che Non era l’Uomo Ragno. Lo stesso Langella sceglie poi, in un altra poesia, di innestare espressioni dal francese, soprattutto proverbiali o legate alla sfera del gioco d’azzardo, a commento del sogno infranto di Laurent Barthélémy, morto mentre tentava di raggiungere l’agognata Francia “nel vano del carrello di atterraggio di un aereo”.

Dominante nella poesia del Gommone forato è l’uso della similitudine rovesciata, che dà luogo nella raccolta a soluzioni decisamente interessanti. Ne rileviamo alcune. Per esempio, Emanuela Gelmini trae spunto dalla definizione di “The Lady with the Lamp” (in alcune attestazioni anche Lamp Lady), attribuita a Florence Nightingale per il suo tener la lampada sempre accesa ed esser pronta a soccorrere i feriti. Nell’immaginario di Gelmini la figura dell’infermiera, tutt’uno con la sua lanterna, finisce con l’essere assimilata a “un occhio di bue a teatro”. Tania Di Malta, poi, nell’apostrofe a Barthélémy, assurto a novello Icaro ma con sottotraccia il ‘volo’ , seppur diverso, d’Ulisse, si rivolge a lui come “ragazzo scriteriato / che volesti fare di un carrello le tue ali” e poi – torna il fenomeno della reificazione dell’individuo – lo assimila a “Povero Icaro, bagaglio in aeroporto / scannerizzato soltanto dalla sorte”. Interessante l’affiorare dell’elemento tecnologico, pure molto presente nella raccolta come già nelle Luci di posizione (e penso ai testi di Neri o di Cafari Panico). Si potrebbero ancora citare, rispetto alla similitudine rovesciata e solo a titolo d’esempi, componimenti come Inutili medaglie di Alessandra Vinotto o Bandiera di polvere di Annachiara Marangoni, in cui l’ “Afghanistan bruciato dal denaro” è definito “Padella di turbanti al pomodoro”.

La poesia di Marangoni ci consente di introdurre un ulteriore filo rosso che lega i testi: la presenza del riferimento gastronomico. Esso ha duplice valore, a nostro avviso: da un lato, rileva la sacra fames che anima operazioni apparentemente “umanitarie” e in realtà figlie di ben altri appetiti; dall’altro, riprende la metafora culinaria cara a tanta letteratura burlesca (penso a Pulci) che vede l’uomo non solo quale banchettante ma anche come portata di un immenso banchetto-danse macabre, in cui si divora e si è divorati. “e le parole sono cioccolato”, scrive Oldani nell’incipit de Gli afghanistan, quasi a ripresa di un discorso perenne e mai interrotto; “tirano in ballo la democrazia, / sempre che si accompagni al fatturato”. La raccolta si chiude, provocatoriamente, sull’efficace immagine di un testo di Langella: “Ricordo soltanto un gran botto, / una vampa, odor di strinato… / Non resta, di me, che un biscotto”. Ancora una volta l’ironia è la chiave per accostarsi alla realtà e far scaturire la riflessione in chi legge. Non peraltro, scriveva Oldani in Il Realismo Terminale (Mursia, 2010) che “Il futuro (…) potrebbe essere quello felice del bozzolo-farfalla, oppure, speriamo di no, del bozzolo-sarcofago; ma questa è, appunto, un’altra storia”.

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