Le Madri della Sapienza


Recensione a E. Savarese, Le Madri della Sapienza, Wojtek, Napoli 2023, Euro 18.

Le Madri della Sapienza è il titolo di un bel romanzo di Eduardo Savarese, un’opera avvincente, dalla trama complessa e ricca di suggestioni e di interrogativi tutt’altro che di facile e univoca soluzione.

La trama vede l’insinuarsi dell’elemento magico e soprannaturale nelle maglie di un apparente realismo. Utopia e distopia coesistono in una vicenda tutt’altro che inattuale.

In apertura seguiamo l’esito di elezioni che, ponendo una forte ipoteca sulla carica di primo ministro, conducono al successo la coalizione conservatrice guidata da Anselmo Riccardi, neppure quarantenne al momento del trionfo. Riccardi festeggia con la moglie Barbara e con la figlia Licia, figura poetica nelle sue apparenti assenze mentali e nei suoi slanci estatici. Alla vittoria segue la notizia dell’agonia del padre Ruggero, prima deputato e poi senatore progressista. La visita alla casa del padre avviene in un’aura claustrofobica, che caratterizzerà anche altre sequenze del romanzo; un senso di oppressione grava su Anselmo, manifestazione fisica del rifiuto della figura paterna. Apprendiamo, infatti, il nodo irrisolto nell’esistenza del futuro premier: l’essere nato da un processo di “gestazione per altri”. Ruggero, omosessuale, di concerto con il proprio compagno, poi svanito dall’orizzonte familiare, aveva (o almeno questo è ciò che Anselmo sa) fatto portare avanti la gravidanza, avvenuta “con l’ovulo di una donatrice sconosciuta”, a una sua cara amica, Francesca. Al momento della sua salita al potere, Anselmo perde il babbo, rinnegato anche sposando idee politiche diametralmente opposte, e ha al contempo rallentato i rapporti con colei che ha identificato quale surrogato di madre, Francesca, da tempo malata d’Alzheimer.

La vicenda è complicata dal fatto che Anselmo è letteralmente posseduto dalla maga Ulrica Neumond, delirante fondatrice di una “Casa Europea dei Nuovi Ariani”. Ulrica, nel percorso di affermazione di ideali dalle sinistre ascendenze storiche, ha preso di mira il monastero delle Madri della Sapienza. La ‘strega’ desidera che Anselmo sia strumento della cacciata delle Madri dal convento che abitano da ormai dieci anni, donato mediante testamento all’ex priore, Fernando (proprio l’antico compagno di Ruggero), dal torvo intellettuale Fosco Nunziante, altro spirito malvagio che aleggia sulle vite dei personaggi.

Chi sono le Madri della Sapienza? Il loro monastero è stato fondato da tre “maturi omosessuali”: Luciano, Giorgio e Fernando. Ognuno di loro si fa identificare anche con un nome femminile, per sottolineare la coesistenza in ciascun individuo di “molteplici aspetti della natura umana” e porre l’accento sulla loro carica generativa. Essi si sentono “Madri della Sapienza” perché portano avanti il compito di “generare quotidianamente la sapienza dell’amore e della libertà di coscienza”. Il loro è una sorta di gioioso monachesimo laico, che coinvolge uomini e donne. Sin dal primo incontro con questi personaggi, il lettore coglie come le Madri non siano poi così sagge come si potrebbe credere. Sopra le righe, kitsch nelle loro manifestazioni esteriori, leziose nel parlare di sé ora al maschile ora al femminile, pronte a intignarsi su questioni del passato ancora irrisolte, le Madri compiono sin dal principio numerosi errori strategici. Eppure la loro sapienza – il lettore lo coglie – è legata all’abbandonarsi al dolceamaro fluire della Vita, a innalzare il proprio gracias ad essa, a cercare Dio nel silenzio come nella gioia chiassosa. Al loro modus vivendi appartengono il culto dell’inclusione e la sospensione del giudizio al cospetto dell’Altro, visto come creatura da accogliere e amare. Non è un caso che siano proprio le Madri a prendersi cura di Francesca, ormai confinata nella terra di nessuno che l’Alzheimer lentamente delimita. Le Madri non sono insomma infallibili. Giorgio, ancora legato alla sensualità, introducendo Anselmo al cospetto della preziosa reliquia da loro custodita, si rende involontaria causa della successiva apparizione del drago. Drago che, sappiamo bene, nella tradizione cristiana è semmai sconfitto da San Giorgio. Luciano, nuovo priore e badessa, non riesce a liberarsi dell’ombra di Fosco e riversa la sua rabbia sul personaggio di Agnese, figura non a caso sospesa tra i due uomini simbolo della claritas e dell’oscurità.

 Il romanzo si fonda su un continuo accendersi ed esasperarsi di tensioni e conflitti, con personaggi che inizialmente potrebbero apparire antagonisti delle madri e invece non lo sono. Si pensi a Barbara, la moglie di Anselmo, alleata prima di Ruggero e poi di Fernando, rispetto al quale il premier riceverà dalla donna una sconvolgente rivelazione.

Sicuramente Anselmo è il personaggio più affascinante e complesso. Non è a nostro avviso casuale che, per l’onomastica del premier, Savarese abbia pensato al santo che si affannava a dimostrare l’esistenza di Dio. Il rifiuto del e il sentirsi rifiutato dal padre generano in questa figura una struggente tensione verso l’Assoluto. Struggente proprio perché negata, salvo manifestarsi palesemente in Licia, non a caso l’unico personaggio a conoscere e comprendere veramente il padre. Licia, paradossalmente la figura più saggia del romanzo, a insaputa di Anselmo agisce per la salvezza di quell’uomo inquieto.

Anselmo incarna anche quella che da sempre costituisce una delle ossessioni della destra: il culto della virilità, il machismo costi quel che costi. Come non di rado avviene, l’ostilità verso l’omosessuale è legata all’intimo terrore di scoprire in sé pulsioni omoerotiche. Più di una volta emerge come Anselmo, figlio di omosessuale, sia atterrito all’idea che la gente possa considerarlo simile a suo padre. È per questo ch’egli soffoca ciò che di muliebre percepisce in sé, a cominciare dalla componente di gentilezza insita nella sua natura, da lui classificata come tale.

Anselmo è anche declinazione del fascino seduttivo della politica. Del suo potere suasivo si serve con i suoi interlocutori, cui fa credere di essere interessato alle loro vicende, mentre gli elementi irrisolti della sua vita lo rendono malato di egotismo e incapace di ascoltare le esigenze altrui. Un narcisista che, nel tentativo di soffocare ogni elemento muliebre nel proprio io, finisce per contrapasso con l’essere posseduto da un’istanza femminea. In fin dei conti, l’arianesimo folle di cui si rende strumento è frutto della decisa volontà di negare la coesistenza dei “molteplici aspetti della natura umana” nell’individuo. Ecco perché Anselmo si pone agli antipodi della Sapienza delle Madri e il suo arrivo al convento – insieme a quello di un’altra figura irrisolta del romanzo, Agnese – costituirà il reagente chimico che rischia di condurre alla catastrofe.

Tra l’altro, il romanzo pone – come si diceva in apertura – una serie di problematicità che non sono facilmente risolvibili. La prima è quella della genitorialità di coppie omosessuali, che si affianca al tema della gestazione per altri. A sostenere l’omogenitorialità è il personaggio di Ruggero e si tratta, senza dubbio, di una figura positiva nella compagine dell’opera. L’effetto, peraltro, della concreta attuazione degli ideali propugnati non è positivo come Ruggero avrebbe sperato. Anselmo crescerà nevrotico, frustrato, incline a ossessioni. L’esito di tale ‘esperimento’, dunque, dà adito a non pochi dubbi. In più di una circostanza, il lettore si chiede se quello di Fernando, Ruggero e Francesca non sia stato in fondo un atto di hybris, un forzare le leggi della natura. Del resto, proprio l’esperienza delle Madri – a cui difatti Fernando aderirà, rinunciando a quel disegno di genitorialità – è la prova di come la generatività non sia legata esclusivamente alla paternità e alla maternità biologiche. Si può essere padri e madri in mille forme, nella misura in cui ci si apre all’affettività verso l’altro da sé. Insomma, l’opera di Savarese schiude, sotto il profilo psicologico ed etico, scenari complessi e lo fa in modo tutt’altro che semplicistico o tacciabile di partigianeria.

Quanto agli echi della tradizione, si percepisce una forte memoria wagneriana, soprattutto nei momenti in cui Savarese costruisce un’atmosfera cupa che rievoca i mortiferi intrighi del Götterdämmerung. Non è peraltro casuale il fatto che, per la sequenza della processione, in un brusco passaggio da una colonna sonora moderna a una classica, Savarese abbia optato per Tannhäuser (in cui tra l’altro si ricorderà che v’erano pellegrini in processione). Solennità, tensione ascensionale, sensazione di un Destino incombente, forza della redenzione attraverso l’amore: sono tutti elementi che la scelta musicale veicola. Non è casuale come dal romanzo emerga che solo atti d’amore possono vincere la fascinazione di “un potere politico magico-autoritario” e, forse, sconfiggere il drago che alberga in ciascuno di noi. Quello che soffoca la tensione alla solare libertà.

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