I piaceri e i giorni


Recensione a M. Proust, I piaceri e i giorni, traduzione di Mariolina Bertini e Giuseppe Girimonti Greco, Mondadori, Milano 2022, Euro 14.50.

L’edizione di I piaceri e i giorni (Les Plaisirs et les Jours) di Marcel Proust tradotti da Mariolina Bertini e Giuseppe Girimonti Greco rappresenta una splendida occasione per leggere e rileggere il primo volume pubblicato dallo scrittore francese (Calmann-Lévi, Paris 1896), a raccogliere alcuni testi composti tra il 1892 e il 1894.

Il titolo ammicca in chiave ironica agli esiodei Ἔργα καὶ Ἡμέραι. Scriveva, infatti, nella prefazione che accompagnò il volume, Anatole France: “L’austero Esiodo raccontò ai caprai dell’Elicona Le opere e i giorni. È ben più malinconico raccontare ai mondani dei nostri tempi I piaceri e i giorni, se è vero, come diceva quell’uomo di Stato inglese, che la vita sarebbe ancora sopportabile senza i piaceri” (il riferimento era a Sir George Cornwall Lewis).

Il volume presenta una lucida introduzione di Mariolina Bertini, che illustra al lettore la genesi dell’opera, seguendo la comparsa dei singoli testi su periodici e identificando significative connessioni tra questi. Costante è il riferimento alla biografia di Marcel Proust, ai suoi epistolari e alla ricezione del volume. Esso attirò all’autore non poche critiche; apparve eccessivamente ambiziosa – una sorta di “peccato originale” –  la presenza di tre nomi importanti a supportare il volume. Oltre alla prefazione di France, l’opera poteva vantare le preziose illustrazioni di Madeleine Lemaire; i ritratti di pittori erano poi accompagnati da spartiti di composizioni di Reynaldo Hahn, il cui rapporto con Proust era oggetto di chiacchiere, che trasparivano a volte senza neanche troppi sottintesi. Severo fu, tra i recensori, Jean Lorrain nel numero del 3 febbraio del “Journal”, in cui la deminutio de I piaceri e i giorni era suggellata da questo riduttivo sommario: “melanconie soavi, elegiaci languori, piccoli nonnulla di eleganza e di sottigliezza, tenerezze vane, flirt inutili in stile prezioso e pretenzioso…” Non mancano, nel contributo introduttivo di Bertini, osservazioni anche in relazione alla storia della dedica, che inizialmente doveva accomunare due giovani amici di Proust precocemente scomparsi, Edgar Aubert e Willie Heath; per il rifiuto degli Aubert, essa fu di fatto destinata soltanto al secondo. La dedica Al mio amico Willie Heath assume un’importanza considerevole perché, nel pennellare un ritratto di esteta di leonardesca grazia, offre una significativa riflessione sul “fertile isolamento” rappresentato dalla malattia (evocata nella metafora dell’arca) su cui non a caso Bertini chiude l’Introduzione.

La traduzione, raffinata e attenta al “colore storico”, di Bertini e Girimonti Greco (“per la sezione Ritratti di pittori e di musicisti è stata” invece “ripresa la traduzione einaudiana di Franco Fortini”), è stata esemplata, in mancanza di un’edizione critica dei Plaisirs, sull’edizione di Yves Sandre per la Bibliothèque de la Pléiade. Utile e ricco di annotazioni, sia di carattere storico-esegetico sia di matrice filologica, il commento di Luzius Keller, che accompagnò l’edizione Suhrkamp del 1988 ed è stato tradotto da Simona Venturi (ed. Bollati Beringhieri del medesimo anno) e aggiornato da Giuseppe Girimonti Greco. A impreziosire ulteriormente il volume, che reca anche testi non compresi nell’edizione dei Plaisirs o non pubblicati dall’autore, le riproduzioni delle belle illustrazioni di Lemaire e degli spartiti di Hahn.

L’attento lavoro dei curatori consente così al lettore di immergersi nella lettura di un’opera di notevole interesse, su cui si dispone di un’ampia bibliografia critica. L’ossatura è costituita da tre lunghe novelle; nella prima, La morte di Baldassarre Silvande, si avvertono influssi di von Hofmannsthal e Tolstoj e compare subito il tema della vicinanza alla morte come occasione per sperimentare momenti di vita autentica. Spicca, tra l’altro, il finale in cui affiora, al momento del trapasso, la memoria “involontaria”, come sottolineato da Bertini nell’Introduzione. Il secondo testo più corposo è la Confessione di una fanciulla, da leggersi in stretta relazione con Prima di notte, pubblicato in rivista e di fatto non ricompreso nel volume dei Plaisirs. In quest’ultimo faceva capolino l’elemento dell’omosessualità femminile che si coglie essere stato dissimulato nella Confessione, in cui il momento di piacere in cui la protagonista appare cristallizzata, nel rimorso che la conduce al tentato suicidio, è invece di carattere eterosessuale ed è un piacere sordo, quasi animalesco. Significativo il riaffiorare del motivo della malattia, in stretta connessione con la riflessione sulla dedizione affettuosa della figura materna; si tratta di un elemento che – secondo quanto già evidenziato – era comparso nella dedica a Heath, con precisa matrice autobiografica.

 La fine della gelosia, infine, in un’efficace alternanza di punti di vista, segue il gramignare del tarlo della gelosia sino al suo evaporare alla morte del protagonista. È in quel momento che il sentimento d’amore viene contemplato con lontanante e inesorabile distacco; se il pensiero di Françoise infedele aveva ossessionato Honoré, ora lui si rendeva conto che in quell’istante “non l’amava più del medico, delle vecchie parenti, dei domestici, e non l’amava nemmeno in modo diverso. Ed era quella la fine della sua gelosia”.

Al di là dei tre testi portanti, l’intera opera è uno scrigno di gemme. Proust apprezzava meno i Frammenti di commedia italiana, ma di fatto si tratta di bozzetti di fulminea icasticità e di grande arguzia, che squadernano la vanità dello snobismo imperante e gli infiniti paradossi della commedia umana. Spicca Le amanti di Fabrizio, con la ricerca di un femminino che non trova corrispondenza nella realtà; quanto più l’uomo si avvicina al proprio ideale tanto più risulta inadeguato ad esso (penso alla terza donna cui si accosta il protagonista). E che dire de Le amiche della contessa Mirto, in cui la dama in questione, snob e ambiziosa, detesta Doride perché diviene per lei specchio della sua stessa mediocrità? O di Contro la franchezza, che svela la fallacia delle maschere sociali? Paradossali, poi, ma vere (se si considera lo specifico punto di vista delle due donne) sono le risposte di Eldemone e Adelgisa a Ercole: un Ercole contemporaneo che si rapporta al genere femminile con fatica ben maggiore di quella esperita dall’omonimo mitologico nelle mitiche prove.

Fortemente significativa è la componente metaletteraria, che non si rivela solo negli eserghi e nelle molteplici citazioni ma anche in geniali prove di riscrittura, come la ripresa dei flaubertiana Bouvard e Pécuchet. In essa, come segnala il commento, probabilmente conobbero eco le conversazioni tra Proust e il già citato Hahn, con le loro predilezioni e/o idiosincrasie musicali.

La presenza nel volume anche di testi non ricompresi nei Plaisirs consente di inferire elementi di notevole interesse sull’arte di Proust. Un caso emblematico è rappresentato dalla Malinconia villeggiatura di Madame de Breyves, in cui assistiamo all’insorgere dell’ossessione amorosa della raffinata protagonista per un uomo ordinario, quasi volgare, come monsieur de Laléande. Una passione inspiegabile se non per le condizioni che finiscono col rendere inappagabile il desiderio della donna di trovarsi a tu per tu con Laléande. Significativi elementi di confronto con questo testo emergono in L’indifferente, che non a caso trovò spazio su “La vie contemporaine” del 1896 ma non nella princeps dei Plaisirs.

Insomma, I piaceri e i giorni sono un volume godibilissimo, per la finezza della costruzione dei singoli testi, per la grazia elegante e l’intensità dello stile, per la qualità dell’approfondimento psicologico dei personaggi, ben effigiati anche con pochi tratti. Il lettore amante dello scrittore francese potrà cercare tra le pieghe dei Plaisirs il sorgere di motivi poi ripresi e approfonditi nella Recherche. Potrà però anche delibare la bellezza di testi anche brevissimi come il Ricordo di un capitano, pubblicato solo nel novembre 1952, su Le Figaro littérarie. Esso racconta il riaffiorare nella memoria di un gioco di sguardi tra un capitano in abiti civili e un giovane brigadiere, intento in apparenza alla lettura e artefice sul militare di una silenziosa seduzione che genera euforia. È la nostalgica e incantevole istantanea di un momento di grazia, elegia di ciò che sarebbe potuto accadere se solo il caso avesse mescolato diversamente le carte. Piccolo gioiello a suggello di un incontro “dolce eppure un po’ triste, per via del suo mistero e della sua incompiutezza”.

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