
Recensione a C. Fracasso, Pietre sparse, Augh!, Viterbo 2021, Euro 15.
Il romanzo di Chiara Fracasso, originaria di Tricase, è un libro che ti conquista gradualmente grazie alla delicatezza con cui l’autrice costruisce una storia non priva di eventi, ma prevalentemente condotta lungo il versante di un attento scandaglio interiore.
Alla base del plot c’è l’eterna vicenda tipica del romance, quella di un amore ostacolato dalle differenze sociali che connotano i due protagonisti. Giuliana, di padre medico e madre dedita all’avvocatura, è nipote del proprietario della masseria per cui lavora Angela, mamma di Nicola, il protagonista maschile. I due appaiono diversissimi: poco amante dello studio lui, dedita alla conoscenza e appassionata narratrice di storie lei; estroverso e intimamente fragile lui, contemplativa lei, ma dotata di una forza interiore che le consente di superare le avversità di un male subdolo e invalidante. Un momento di crisi nella vita di Nicola è all’origine della relazione: rifugiatosi in una pajara per sfuggire alle percosse del padre violento, il quattordicenne si ammala e necessiterà delle cure del padre di Giuliana. Così lei lo assisterà in silenzio e – quasi il ragazzino fosse un novello Endimione – lo bacerà timidamente nel sonno. Si costruirà così gradatamente un legame fondato su una sorta di ‘relazione di cura’. L’adolescente cercherà di lenire le ferite dell’anima del compagno consentendogli di volare con la fantasia verso dimensioni inesplorate e Nicola si periterà di alleviare i dolori legati alla malformazione della mano destra di lei, massaggiandole il braccio con dell’occhio caldo. Colpisce l’insistenza quasi ossessiva dell’autrice su questo dettaglio del rapporto tra i due giovinetti, che poi si perpetuerà nel tempo. Il massaggio, reale o figurato che sia, configurandosi quale sorta di carezza, diviene emblema dell’attenzione all’altro, del farsene amorevolmente carico, una forma di ‘caritas’ riconducibile all’etimologia del termine, il considerare qualcuno ‘carum’.
Nel rappresentare il tempo dell’amore di Giuliana e Nicola, Fracasso attinge a piene mani a quelle tipologie di ostacoli che – la narratologia ce l’insegna – determinano le peripezie del romance. La logica del branco, che impedisce a Nicola di intervenire a difesa della ragazza presa di mira da una banda di bulli; la timidezza dell’innamorato, elemento da sempre connesso alla fenomenologia amorosa; il proliferare di equivoci… Questi ultimi abbondano, complice la presenza di involontari antagonisti, del tutto in buona fede come la brava Angela, o di aiutanti dei protagonisti che inizialmente non appaiono tali. Il riferimento è a Francesco Marzo, figura molto ben curata dall’autrice e fondata sul principio della dissimulazione; a tal proposito, dobbiamo riconoscere a Fracasso l’abilità nel disseminare indizi in merito alla reale natura del personaggio. Segnali che il lettore più smaliziato riesce agevolmente a cogliere, entrando in un orizzonte d’attesa poi confermato dai successivi sviluppi.
L’autrice ama ricorrere frequentemente a processi di simbolizzazione. La città, Bologna per Giuliana, diviene, in connessione con il motivo del viaggio, luogo dell’iniziazione alla vita adulta, realtà cui soltanto chi è dotato di una struttura psicologica solida potrà adattarsi. Il mare è presenza costante, testimone silenzioso dell’idillio tra Nicola e la ragazza, ma anche simbolo cruccioso, dall’abbraccio venefico per la lunare Gabriella, che ad esso, in una fugace ma significativa declinazione del bachelardiano complesso di Ofelia, affiderà il proprio desiderio di autodissoluzione. Per non parlare del prato delle noci, a nostro avviso proiezione dell’io stesso di Nicola, dello scongiurato rischio di inaridimento e della successiva rinascita alla vita.
Tutto questo sullo sfondo della Puglia tra gli anni Ottanta e Novanta, regione rappresentata nella sua bellezza, ma anche nella sua wilderness, con riferimenti alla montante criminalità (la figura di Massimo Caracciolo), allo sfruttamento della manodopera femminile in fabbrica (la menomazione di Lucia Riso), ai pregiudizi legati a un facile machismo duro da scardinare e alla difficile accettazione della diversità, di qualunque genere essa sia. La forza della ‘fragile’ protagonista Giuliana sembra un monito a guardarci dal facile indulgere alla legge della ‘selezione naturale’, in questi tempi pandemici di nuovo in auge (si pensi a quanta gente ritiene che la morte di individui con patologie pregresse sia qualcosa di accettabile, come se non fosse dovere di una comunità preservare le creature in difficoltà). Con una narrazione dallo stile fluido e accattivante, Fracasso tesse un inno alla speranza, a quella volontà visionaria che costruisce laddove gli altri distruggono. Perché la felicità non è di certo eterna, ma il suo discreto visitarci a volte accade.