La foresta delle farfalle monarca


Recensione a R. Gassi, La foresta delle farfalle monarca, Les Flâneurs Edizioni, Bari 2021, Euro 15.

Un fascino peculiare caratterizza il romanzo di Roberto Gassi La foresta delle farfalle monarca.

L’opera è incastonata in una trilogia, ma sarà da noi considerata nella sua autonomia. La trama si dipana lungo due direttrici. Seguiamo le vicende del trentenne meridionale Erol Ciorba, al servizio di un Gruppo che mantiene in costante tensione i suoi impiegati nel miraggio di una carriera da “project manager”. Un giovane che appare subito insoddisfatto di un lavoro ipercompetitivo (e non privo di elementi perturbanti) ed emotivamente fermo alla relazione sentimentale con la bella e misteriosa Leila. Parallelamente alle sue vicende, seguiamo la genesi del suo romanzo, nel finale pronto per viaggiare “tra editori e improbabili concorsi letterari”, incentrato sulla vicenda di Severina Moral. Quest’ultima, sopravvissuta (?) alla strage avvenuta in Chiesa il giorno del suo matrimonio, con l’uccisione di molti degli abitanti del villaggio messicano teatro delle vicende (tra i quali quello che doveva essere suo marito, Quintino, e l’amatissimo nonno, Pedro), assisterà sfingea alla vendetta perpetrata da un misterioso vendicatore. Questo caballero, accompagnato da una “coltre neroarancio” di farfalle monarca, eliminerà gli artefici della strage, i crudeli figli di don Álvaro Renos, che erano stati aizzati dalla sorella Alina, rifiutata da Quintino per amore della generosa Severina.

Non riteniamo opportuno addentrarci ulteriormente nei meandri della trama, ben più complessa. Coesistono una dimensione realistica – quella delle vicende di Ciorba – che pure a tratti sfuma nel mistero (la comparsa dello scarabeo nero nella sezione finale) – e una in cui emerge il talento visionario e surreale dell’autore. Gassi muove dalla posizione di “Una minoranza indigena” la quale “crede che lo spirito dei defunti ritorni sulla terra ogni anno nel Día de los Muertos, sulle ali delle farfalle monarca”, per pennellare una vicenda in cui il lettore è continuamente colto dallo stupore per i colpi di scena che si susseguono a ritmo incalzante.

Notevole è la capacità dell’autore di conferire evidenza visiva a tutto ciò che rappresenta, siano le allucinazioni delle vittime del vendicatore o le accurate descrizioni di ambienti (la casa di Erol nel capitolo terzo) e persino della preparazione di cibi (lo sguardo che segue Sama mentre ultima l’occorrente per il momento commemorativo nel quattordicesimo). Per non parlare di alcuni momenti topici come l’epifania di Severina nell’inferno scatenatosi in chiesa, filtrata dalla prospettiva dell’innamorato e attonito Quintino. Non mancano riflessioni di grande attualità, come questa di Erol che sentiamo di condividere pienamente: “In fondo il suo sud, in certi casi, non era poi tanto meglio di quella lega nordica secessionista e considerata razzista in più di un’occasione. Dov’era finita la sua gente? Quei sudisti candidati al premio Nobel per la pace che avevano accolto flotte di albanesi in esodo?” Quest’interrogativo arrovella costantemente anche noi.

Scoperto è nel corso dell’intero romanzo l’intento di tributare un omaggio a Quentin Tarantino. Non senza significato la presenza in casa di Ciorba della locandina di Pulp Fiction, dall’alto della quale “distesa con le gambe alzate e incrociate, la dea tarantiniana (n.d.r. Uma Thurman) seduceva sotto la sua frangia pulp”. Nella storia narrata da Erol, evidenti sono gli ammiccamenti ai capitoli di Kill Bill, a cominciare dall’idea e dalla costruzione della sequenza del massacro in una chiesa. Alla figura di Hattori Hanzō, forgiatore di spade, è subentrata quella del fabbricatore di pistole d’argento, particolare peraltro molto interessante, che introduce una nota di preziosità e al contempo letalità. Il dialogo tra Alina e lo sceriffo in “Venti” mi ha poi ricordato, con le dovute differenze, quello tra Elle Driver e Budd nella memorabile scena del mamba nero. Tra l’altro lo stesso ambiguo rapporto tra Alina e Severina sembra richiamare quello tra Elle e la Sposa di Kill Bill. Muovendosi tra suggestioni fumettistiche e cinematografiche, Gassi riesce a dar vita a un originale esempio di arte allusiva, fattore che – nell’epoca della serializzazione della letteratura sponsorizzata da molti grandi editori – ci sembra tutt’altro che irrilevante. Così come personale, accattivante, evocativo e curato ci sembra lo stile di questa Foresta delle farfalle monarca, un’avventura che si congeda mantenendo vivo nel lettore il profumo del mistero, in una sorta di animistica Nemesi a volte trionfante sul Male.

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