Acrobazie


Recensione di A. Trasciatti, Acrobazie. Storie brevi e brevissime, Il ramo e la foglia edizioni, Roma 2021, Euro 13.

Come si possa, nella levità di un lusus che si colora di onirismo, auscultare l’animo umano e dar voce alle sue angosce, aspettative, fallimenti, stagnazioni appare evidente nel bel volume di Alessandro Trasciatti, Acrobazie.

L’opera appare in linea con le espressioni della patafisica nel suo privilegiare, sulla scorta di Jarry, atmosfere paradossali, ragionamenti capziosi, in una sorta di ilare ma seria dissacrazione del pensiero metafisico.

Acrobazie è costituito da tre sezioni (Rifugi, Infanzia e prolungamenti d’infanzia e i Casi clinici e onirici), attorno alle quali si agglutinano racconti brevi e brevissimi, in una rete di echi e simmetrie. Particolarmente riuscita ci appare la deca dei Rifugi, nei quali a fungere da Leitmotiv sono l’inettitudine e la tensione al rintanamento di un io monologante che interloquisce a distanza con la persona un tempo amata, ormai assente perché allontanata dall’uomo stesso. In dieci prose, egli passa in rassegna quelli che sono i suoi “rifugi”, nascondigli reali e metaforici, dalle tasche del pastrano al rassicurante orizzonte delle conoscenze enciclopediche, strumento di un illusorio anelito a poter mettere in circolo l’intera mole del sapere. Subentra già qui il motivo, che poi attraversa l’intera opera, dell’acrobazia, quella leggerezza del muoversi nell’esistere che paradossalmente può dispiegarsi per il protagonista soltanto nel momento in cui ha creato il vuoto intorno a sé. Le prose sono percorse anche da un neppure tanto latente impulso di cupio dissolvi, che affiora nelle incursioni cimiteriali – compiute grazie alla memoria o programmate e fallite – per poi risolversi nel brillante finale della vasca, in una sorta di parodia dell’ofelismo bachelardiano, con espliciti ammiccamenti alla morte di Phlebas il Fenicio di Eliot.

Diversa, ma egualmente votata all’inettitudine, appare la voce dell’Infanzia, che passa in rassegna le opache figure genitoriali, rivive gli scatologici traumi infantili nell’asilo di via Buiamonti, narra episodi reali e ipotetici che abbiano per protagonisti i gatti. Un velleitarismo di fondo connota le aspirazioni di questo personaggio monologante, che aspira a una sorta di europeismo conviviale, ma poi coltiva la credenza che gli aerei siano “fatti per cadere e non per volare” e ancora scrive Pribke e non Priebke e Orson Wells invece di Orson Welles. Kafkianamente subisce il fascino delle cameriere, ma la sua ipertrofia di fantasticherie lo porta a gonfiarsi “come un aereostato”.

Visionari e irridenti i Casi clinici e onirici, che rinverdiscono la futurista vocazione incendiaria nella fantasia della “casa rossa” o pennellano medievali trionfi floreali al femminile con un’imprevedibile chiusa che rimanda al memento mori (Un caso d’amore). E che dire dell’inettitudine di un io che resta spettatore alla finestra della vita e, quando decide di unirsi alla “festa improvvisata” scatenata da un violinista, si accorge che ormai è tardi? Poeticamente surreale il finale del racconto in questione, incentrato su un caso violinistico: “scendo le scale a corsa e il suono del violino è quasi spento, lo inseguo per i campi ed è sparito”. Tale desiderio di vita emerge anche in Un caso anniversario, per il curioso effetto di “un patto – non so più se col Diavolo o con Dio”, che concede al protagonista un giorno all’anno di “sfrenata gioventù”. Potremmo poi citare altre belle prose: l’atmosfera perturbante di Un caso di colpi notturni; i tre casi tristi che accomunano Boccherini, uno psicanalista letargico e un gatto a bagnomaria o l’assurdo e divertente nonsense “podologico”. Sicuramente tra le prove migliori, rappresentativo dell’intera raccolta, è Un caso acrobatico, in cui, pur nelle farneticazioni di un altro io ipertroficamente incline alla fantasticheria, si fa strada la riflessione sui curiosi sentieri in cui si inerpica “l’amore di un’acrobata” nel suo venir “su nell’ombra”, in uno dei momenti stilisticamente più intensi della raccolta. Opera che si conclude in un dittico dalle allusioni dantesche. La prima parte ha luogo in un Eden in cui tutto appare meraviglioso sino a quando si scatena la lotta su “un carro stracolmo di fieno”, evento che ci sembra ammiccare in chiave straniante, e con significati diversi, all’allegoria del carro presente nella sezione conclusiva del Purgatorio, ambientata nel Paradiso terrestre. La contesa, ispirata dalla “bramosia di ricchezza”, sancendo l’ingresso delle passioni nell’aura paradisiaca, determinerà lo scoramento della voce narrante e – dato non secondario – la caduta degli acrobati che precedentemente sapevano vincere “la legge di gravità”. La seconda, Un caso di punizione dei peccati, ci introduce in un immaginario concentrazionario, che potrebbe preludere – almeno nelle intenzioni dell’io monologante – all’estinzione dell’umano, attraverso l’auspicata perdita della potenza generatrice. Quest’ultimo testo è connotato da un’aura che ci ha fatto pensare a certe atmosfere della pittura di Lorenzo Alessandri.

Insomma, veramente interessanti e stimolanti queste Acrobazie di Trasciatti, un itinerario aereo e unheimlich al contempo nella psiche umana, con un gusto dell’aprosdòketon a illuminare di venature brillanti o sorprendenti la conclusione del narrato.

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