
Recensione a V. Restivo, Maregrigio, Officina Milena, 2020, Euro 13.
Crudezza e poeticità si intrecciano e si fondono nel nuovo romanzo di Vincenzo Restivo, Maregrigio, edito da Officina Milena.
L’autore, casertano, annoda le vicende attorno agli eventi del 15 giugno, a Dragona, con gli abitanti della frazione in subbuglio per la festa annuale della Madonna sull’Acqua, di cui fervono i preparativi.
Nella calura soffocante, in un errare di “anime perse” tra ambienti degradati, il cui squallore è accresciuto dal sentore di urina e dai graffiti osceni, sono delineate le storie parallele dei membri delle ‘famiglie’ Catino e Miele. I Catino, con un padre che non riesce ad aver presa sulla realtà, la cui principale preoccupazione è, nella prima parte del romanzo, accertare la ‘virilità’ del figlio maggiore Ezio… Marisa, mater familias che reagisce al grigiore asfittico (in cui si percepisce sprofondata) stabilendo una relazione adultera con un giovane amico dei figli, salvo poi nutrire un crescente senso di rimorso e pagare, per la sua ‘distrazione’, un amarissimo scotto. E poi i giovanissimi Catino, Diego, dalla psiche contorta, partecipe della deriva etica dell’ambiente in cui vive, e Stefano, che cerca, invano, nella logica della matematica il riscatto dall’insensatezza. I due resteranno coinvolti nella torbida vicenda di un sequestro di persona, tratteggiato con alcuni, discreti, ammiccamenti a sequenze di Ammanniti, sebbene con esiti e soluzioni fortemente differenti. In questo contesto familiare straniante, il migliore appare proprio Ezio, che sconta l’amara realtà di essere patentemente omosessuale in un contesto paesano portato alla denigrazione e alla persecuzione omofoba. Vivo è il contrasto tra le delicatezza con cui l’autore ne descrive i turbamenti erotici per il coetaneo Francesco Ciano e il contesto di profondo degrado in cui il primo ‘incontro’ tra i due si verifica, laddove tutto riconduce a un senso di sporcizia e clandestinità. Le pressioni e le violenze cui Ezio andrà incontro nella seconda parte del romanzo lo accostano a Teresa Miele, l’altra faccia della medaglia. Figlia di prostituta, condannata alla prostituzione ella stessa dalla follia di un padre incestuoso, la giovane è costretta a un gravidanza dagli echi derobertiani. Teresa appare votata al rifiuto totale della femminilità nella totalità delle sue declinazioni, in misura complementare allo stesso Ezio, che ha rigettato il modello di mascolinità rappresentato dal genitore, ma alla sua nuova amica non può tacere le difficoltà di vivere così.
Leitmotiv dell’opera è la pena di trascinare l’esistere in una “periferia desolata”, dove tutto è degrado e persino gli spiriti tendenzialmente più puri – Ezio, Teresa e lo stesso Stefano – muovono, scientemente o meno, verso la rovina e finiscono loro malgrado con l’essere resi partecipi del verbo della violenza e dell’empietà. Lo stile aderisce in maniera vibrante alla materia trattata. A sequenze di grande crudezza, come quella della disavventura di Diego con i coetanei intenzionati a umiliarlo, si contrappongono scampoli di lirismo nel girovagare di Ezio e Teresa nei momenti di sospensione dell’azione incalzante. Il montaggio è efficace, come risalta soprattutto nella sequenza finale, che accosta l’elevazione del simulacro mariano al solitario scacco patito da Teresa e alla corsa affannosa di Marisa, ora mater dolorosa cui fanno eco, in controcanto, le voci della festa e lacerti di preghiere.
Insomma, un’opera che ci convince questo Maregrigio, per la vocazione al narrare di Vincenzo Restivo, per la sua capacità di delineare in maniera efficace le psicologie di un mondo in cui la pietà sembra apparire in dismissione – o restare retaggio degli esclusi dal consesso sociale – e per il realismo nella costruzione e nella conduzione del romanzo. Romanzo che si chiude sul dolore di Ezio mentre il cielo esplode di fuochi d’artificio, amaro contraltare della morte della speranza, che già prima, per differenti ragioni, il piccolo Stefano aveva presentito.