Fra le crepe dell’anima


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Recensione ad A. Aniello, Fra le crepe dell’anima, Les Flâneurs edizioni, Bari 2017, Euro 10,00.
Il romanzo di Angela Aniello si configura come un’esplorazione delle zone d’ombra di giovani uomini e donne. L’abusata formula di insinuarsi tra “le pieghe dell’anima” è tradotta in un viaggio tra le “crepe” della psiche di un’umanità ferita irrimediabilmente e per questo fragile, proprio come le farfalle che costituiscono l’immagine feticcio dell’opera.
Attraverso l’adozione di un narratore esterno con focalizzazione interna variabile, l’autrice introduce nella strutturazione del romanzo una nota di evidente relativismo prospettico.
Basti pensare all’abile operazione in virtù della quale il primo capitolo adotta il punto di vista del personaggio maschile principale, Federico, divorato dalle sue ossessioni al punto di giungere, al termine dell’amplesso, all’omicidio di una giovane, Valery, incontrata durante una serata trascorsa in un locale. Subito dopo, però il narratore si sofferma a considerare la prospettiva di Alice, la migliore amica della ragazza, ed ecco così che una luce nuova si proietta su quella figura che, nel primo capitolo, sembrava solo assetata di sensazioni inimitabili. Emerge l’idea che quel vitalismo possa celare un’ansia di vita, ch’è tensione a stornare lo spettro del nulla incombente (e di fatto trionfante). Così tutta l’opera ci fa assistere a continue deformazioni e straniamenti.
L’esempio più significativo è rappresentato dalla protagonista femminile Marlene. Per Federico è la donna seducente e perversa che l’ha rifiutato, proprio come, nell’immaginario del giovane, aveva fatto sua madre, poco presente; anche agli occhi del marito Clèment e del suo braccio destro Laurent la violinista appare vicina al prototipo della femme fatale, alla dama dannunziana che soffoca l’ego del maschio. Alla Nemica per eccellenza, insomma. Basta però che l’Aniello focalizzi l’attenzione sui pensieri dell’artista, perché ella riveli una personalità ben differente da quella che i personaggi maschili a lei connessi avevano percepito. Prova più lampante potrebbe essere considerata la convinzione di Clèment che la moglie non volesse affrontare una gravidanza per vacui timori di carattere estetico, riconducibili alla paura di sformare un fisico perfetto. Il fatto che si tratti di un ottuso fraintendimento sarà però rivelato nel momento in cui la donna, che ha appena conosciuto Auguste, cui si sente legata da un’intensa affinità spirituale, arriva a contemplare l’ipotesi di concepire un figlio da lui. Con il marito ciò non era accaduto in quanto lo considerava inaffidabile, abituato com’era a colmarla di regali costosi e, al contempo, a esserle infedele senza tanti scrupoli. Ciò non significa che la controversa figura di Marlene sia cristallina (lo stesso matrimonio con Clèment, non privo di una contropartita in termini carrieristici, ne è una prova), ma probabilmente è meno cinica e spietata di quanto i suoi amanti facciano apparire.
L’opera dell’Aniello può considerarsi a nostro avviso neodecadente. In uno scenario mondano e raffinatissimo, tra Parigi e Sanremo, assistiamo a vite classificabili tra media e alta borghesia, con poche eccezioni. Si percepisce l’estrema crisi valoriale di questo ceto. Alla raffinatezza neoestetizzante delle cose di cui si circondano figure come Clèment e Marlene fa da corollario un senso di estenuazione, di languore, un desiderio di dissoluzione accompagnato anche a una sorta di dolendi voluptas. Unica redenzione, parziale, di questo mondo vitalistico e depresso sembra essere rappresentata dal ritorno alla Natura (il mare che domina i versi dell’Intermezzo e che diventa rifugio di Federico, in un inconscio desiderio di ritorno all’amnio) e dalla dedizione all’Arte. Non a caso, elemento chiave nella narrazione appare il violino di Marlene, cui è consacrata la bella copertina (raffinato il progetto grafico di Mariano Argentieri). A quello strumento la donna affida in modo struggente il proprio bisogno di “purezza estatica”; a quell’Arte che sola, forse, può salvare, in un mondo dominato dall’incomunicabilità e dagli errori di prospettiva. Mondo che Aniello contempla senza compiacimento nell’indulgere all’esplorazione degli abissi della psiche umana e, anzi, con profonda compartecipazione all’eterno mistero del dolore e del male di vivere.

 

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