La statua di sale.


La statua di sale

Recensione a G. Vidal, La statua di sale, Fazi, Roma, 2018, traduzione dall’inglese di Alessandra Osti.

“Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale” (Genesi, 19, 26). L’epigrafe è la chiave di lettura del romanzo The City and the Pillar di Gore Vidal, tradotto in italiano con il titolo che riconduce al destino della sposa di Lot. In fuga da Sodoma con il marito e le figlie, la donna si era volta indietro a scrutare un’ultima volta la città, subendo il destino della ‘pietrificazione’.
Simile appare il dramma di Jim Willard, protagonista dell’opera di Vidal, incapace di muovere verso il cambiamento. Non è un caso che il motivo del ‘volgersi indietro’ fosse al centro di un’altra vicenda archetipica, quello di Orfeo, definitivamente privato della sposa Euridice per aver violato il tabù dello sguardo. Agnolo Poliziano, nella prima opera di teatro profano in volgare in Italia, ne aveva tratto spunto per poi volgere all’umiliazione e allo smembramento di un Orfeo convertito, per reazione, all’amore efebico, teso a cogliere “la primavera del sesso migliore”.
Di amore omosessuale si parla anche nella Statua di sale, o, piuttosto, dovrei parlare dell’ossessivo attaccamento alla memoria di un idillio omosessuale. Due giovani studenti, belli, atletici, idealmente‘gemelli’, trascorrono insieme un week-end in una capanna abbandonata, vicino al Potomac, fiume della costa atlantica statunitense. “La casa di uno schiavo liberato, morto poco tempo prima”. Qui, lontani da sguardi indiscreti, liberati dalla schiavitù delle convenzioni sociali, complice una lotta acquatica, in cui Narciso si rivela a Narciso, i ragazzi trascorrono ore d’amore. Ore descritte con estrema maestria stilistica da Vidal, in una torsione lirica possente, dall’afflato quasi cosmico, scandita da periodi brevi, in cui fiorisce il linguaggio figurato (“Così si incontrarono. Occhi serrati contro un mondo irrilevante. Un vento caldo e improvviso scosse tutti gli alberi, disperse le ceneri del fuoco, gettò ombre sulla terra. Ma poi il vento cessò. Il fuoco divenne carbone. Gli alberi erano silenziosi. Nessuna cometa segnava il cielo scuro e bellissimo, e il momento era passato. Nel battito breve di un cuore doppio, era morto”).
Il miracolo di un’unizione perfetta, ma irripetibile. Perché subito dopo Bob Ford, l’amato, attuerà la sua fuga verso la vita, ch’è fuga anche da Sodoma, per approdare alla normalità quietante del matrimonio con Sally, santificata dalla nascita di una bimba dai capelli rossi. Jim resterà come la moglie di Lot, pietrificato, incapace di volgere verso l’esistere. Tutto per lui rimarrà fermo a quell’idillio di fine adolescenza, ogni suo sforzo virerà verso la magica ripetizione dell’ora zero.
Passerà attraverso la vita e le relazioni proprio come una statua di sale, capace forse di porgere il proprio corpo al contemplante, ma in modalità pressoché del tutto anaffettive. Se le relazioni con l’attore Shaw e lo scrittore Sullivan lo vedranno sempre non sufficientemente coinvolto, egli cercherà in qualche modo di ritornare al momento agognato, privilegiando l’amore con i cosiddetti “innocenti”, eterosessuali od omosessuali latenti. Una sequenza chiave, durante il periodo dell’arruolamento e della guerra, è quella che narra il tentativo di seduzione di Ken, attuato da Jim istigandolo all’ubriachezza e cercando di approfittare del suo allentamento dei freni inibitori. Quel tentativo di ‘stupro’ mancato è prefigurazione del duro finale, in cui, come lo stesso Vidal affermava, va in scena il tema “melodrammaticamente struggente” del Liebestod.
La consapevolezza di aver inseguito il fantasma della memoria, e di aver ad esso conformato ogni desiderio, provoca un corto circuito nella mente di Jim, che si traduce nella violenza contro il Bob ritrovato e definitivamente perduto (perché mai stato suo). A quel fantasma della memoria Jim aveva sacrificato forse l’unica possibilità di un amore puro, da lui anelato, quello per Maria Verlaine. La scena della mancata unione, sullo sfondo delle rovine yucateche, si colora di una densa simbologia, che ci ha fatto pensare a Tess of the d’Urbervilles, quando la protagonista s’addormenta sulle pietre di Stonehenge, vittima sacrificale di una società che le ha negato l’innocenza e la condannerà a morte.
Quella di Jim ci appare la storia di una nevrosi, di una paralisi emotiva, da Vidal resa magistralmente attraverso un linguaggio duro, aderente al reale, talora anche disturbante, con l’improvvisa accensione di impennate liriche struggenti. Come nelle ultime battute. “Una volta di più sulla riva di un fiume, conscio che lo scopo dei fiumi è di sfociare nel mare. Niente cambia. Eppure nulla di ciò che è, potrà mai essere ciò che è stato”.

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