Recensione a G. Pesce, L’inferno è vuoto, Marcos y Marcos, 2018.
Sulla notizia del suicidio di un immaginario papa Goffredo, in odore di santificazione, ambasciatore della fratellanza tra i popoli, al punto da esser stato insignito per ben due volte del premio Nobel per la pace, si apre il romanzo L’inferno è vuoto dello scrittore monzese Giuliano Pesce, edito da Marcos y Marcos. L’autore, focalizzando l’ottica sull’aspirante Grande Scrittore Fabio Acerbi, registra, già nel capitolo primo, gli effetti di tale evento a livello di tam tam mediatico, snocciolando in maniera incalzante le cifre riportate dai telegiornali e le reazioni convulse sui social network. Il folle volo del Pontefice è però solo il primo gradino di una sorta di apocalisse postmoderna che investe la Capitale, trascinandola in una spirale di violenze che si succedono a ritmo indiavolato. Non a caso questo è stato definito “un romanzo on the rock che scorre a perdifiato”.
L’opera si sviluppa in tre sezioni, ciascuna costituita da quindici brevi capitoli, con l’eccezione della terza, che ne conta sedici. Ogni macrosequenza è introdotta da un’epigrafe in lingua inglese, coerente rispetto ai temi e allo sviluppo della narrazione.
Il titolo, piuttosto interessante, potrebbe alludere alle ultime parole del pontefice Goffredo, che avrebbe negato l’esistenza di Dio, e quindi rinviare al crollo della speranza metafisica, ma potrebbe celare un ulteriore significato. Popolato da figure bestiali, che recano l’impronta della ferinità già nei loro nomi e soprannomi (si vedano il Cobra o il Nibbio, di manzoniana memoria), il mondo sembra modellato a immagine dell’Inferno e sorge pertanto il dubbio che quest’ultimo sia vuoto, perché l’elemento demonico si sarebbe in realtà integralmente riversato sulla terra.
Il romanzo squaderna quindi una realtà connotata da una deriva etica pressoché totale. Fabio Acerbi è un giovane grigio impiegato di un Grande Editore. Viene inviato a Roma, perché, allo scopo di scrivere un libro, possa carpire, complice un informatore, i segreti inconfessati che avrebbero condotto papa Goffredo al suicidio; il Cobra è il boss che con i suoi loschi affari domina l’Urbe; Alberto Gasman (come si evince dal cognome, che allude alla grandeur di una famiglia di artisti, con la deminutio tradotta nell’eliminazione della doppia) è un attore fallito, del tutto asservito al criminale sopra ricordato. Incaricato di uccidere il segretario di stato, il cardinale Bianchetti, altro manipolatore senza scrupoli, si rivelerà del tutto inetto. Intorno a loro ruotano il commissario De Santis, intuitivo ma pigro e sfortunato, i bravacci Bara e Beccamorto, la triste prostituta Mimì la Bruna e altre figure deformate dalla feritas e dalla follia.
Carri funebri involati rocambolescamente, cadaveri scorticati da personaggi degni di comparire in un film argentiano, improbabili sosia che si rivelano inquieti e/o depressi Doppelgänger destinati al suicidio… Sono gli ingredienti di un libro spiazzante, divertente, ma non privo dell’amaro. Gli esseri umani sono ridotti a burattini che si agitano in preda al parossismo; basta un soffio di vento per spazzare via le loro esistenze fragili e convulse. “Cos’è quella forza che fa nascere i fiori?”, si chiede morendo un personaggio. L’inferno è vuoto in realtà parrebbe infatti concepire esclusivamente il meccanismo di disgregazione e distruzione.
Una casualità spietata sembra far sì che ogni personaggio si trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato o, pur presentandosi l’Occasio, finisca con l’abbarbicarsi alla scelta peggiore. Anche l’amore, che potrebbe per i personaggi concretizzarsi nel sogno di una Rossa da concepire secondo l’ottica stilnovante, si traduce in una corsa sfrenata in una strada senza uscita. Eppure Pesce pennella questo suo mondo stralunato e schizofrenico con leggerezza, grazie all’ausilio di uno stile che ora si eleva (si veda Beccamorto che filosofeggia) ora s’ingaglioffisce nei discorsi dei bravi. Stile a metà tra il sardonico e il giocoso, come il volto di questo pazzo mondo che fa sulla terra le veci degli Inferi.