Quei giorni a Bucarest


Quei giorni a Bucarest

Recensione a Stefan B. Rusu, Quei giorni a Bucarest, Roma, Syncro/Europa (Playground), 2018.
Una Bucarest malinconica e allo stesso tempo vivida è il suggestivo scenario del romance di Stefan B. Rusu, Quei giorni a Bucarest. L’opera è stata pubblicata nel 2018 da Syncro/Europa, nuovo marchio, “erede e sviluppo della collana High School della casa editrice Playground”, parte del gruppo editoriale Fandango. Peculiarità di Syncro/Europa l’attenzione a romanzi che narrino le storie “di giovani adulti alle prese con i temi dell’amore gay”.
Qualche cenno alla trama. Nel 1992 la cittadina romena aveva già vissuto la rivoluzione che aveva condotto all’esecuzione di Nicolae Ceaușescu e alla fine della dittatura, ma il traguardo di una piena emancipazione economica e libertaria era ancora lontano.
Protagonista della vicenda è lo studente Nicu Sterescu, collaboratore della rivista Jurnal Universitar; inviato dalla testata a seguire le prove dell’adattamento teatrale, da parte di alcuni studenti del liceo “Ion Neculce”, di Dichiarazione d’amore, film cult degli anni Ottanta, incontra il bellissimo diciassettenne Gabriel e ne resta folgorato.
Il romanzo segue le vicende dell’amore tra i due giovani, complicate dalla presenza dell’italiano Vittorio, che ha iniziato Nicu all’omosessualità, e dai pregiudizi che indurranno il padre di Gabriel, accademico, e il fratello David, militare, a ostacolare in ogni modo la relazione con l’“invertito”.
Quei giorni a Bucarest è un romanzo interessante e non convenzionale. Valida è la costruzione dei personaggi, a cominciare da Nicu, sincero, onesto, capace di un amore autentico, a tratti anche colto da rimorsi per quel suo modo di amare disprezzato dalla società. Ben delineato anche Gabriel, con la sua passione per la rappresentazione della vita attraverso il medium fotografico e l’umore borderline, ai limiti della psicosi.
Convincente l’ambientazione, con l’aura di grazia fanée che connota la capitale e che emerge per esempio nella descrizione del quartiere Lipscani, “una piccola isola di bellezza nella città del cattivo gusto voluta dal dittatore”. Bellezza e degrado, talora bellezza che affiora nel degrado stesso, si fondono e confondono e costituiscono una delle ragioni di maggior fascino del romanzo. Opera che sotto il profilo stilistico riesce bene a rendere la contaminazione di altezza del sentire e materialità istintuale che connota l’esistenza umana. Lo stile infatti registra momenti lirici nelle descrizioni di Gabriel o del suo furtivo bere le ore d’amore di Cristian e Cornelia e attimi di voluta precipitazione a fini realistici (la scena del lenzuolo macchiato che diviene telone per la proiezione). Nel complesso un lavoro notevole e in più momenti emozionante, che riflette sulle imperscrutabili alchimie e declinazioni dell’amore.

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